L’assunzione di zucchero crea dipendenza in modo ancor più forte di quanto non faccia una droga come la cocaina. Se consideriamo tutti gli alimenti in cui esso si nasconde, ci rendiamo conto di quanto questo possa rappresentare un enorme problema per l’intera umanità. Pare assurdo? Invece è realtà.

Uno studio pubblicato nel numero di agosto 2007 su PloS(1) ha valutato  l’ impatto di una bevanda zuccherata su ratti resi dipendenti dalla cocaina. La cocaina è ben conosciuta come una delle droghe che più facilmente produce dipendenza, in seguito alla stimolazione della sintesi di dopamina nei centri di percezione del piacere(2) (nucleo ventromediale del mesencefalo). Più del 90% dei topi (non dipendenti dalla droga) che vengono posti di fronte alla scelta di consumare esclusivamente acqua e zucchero oppure cocaina sceglie la bevanda zuccherina. Il fatto è che anche i ratti resi dipendenti dalla cocaina, una volta introdotta la bevanda dolce, modificano rapidamente la loro preferenza, abbandonando il consumo della droga in favore dello zucchero. La ragione di questo comportamento è che anche  lo zucchero, come la cocaina,  stimola la produzione di dopamina cerebrale, ma, probabilmente,  in modo più efficiente della droga  stessa e, conseguentemente all’aumento della dopamina, nel cervello si produce un’intensa  sensazione di piacere.

Una sostanza che provochi dipendenza in un soggetto innesca un più o meno marcato impulso ossessivo-compulsivo che lo porta alla ricerca continua di quella stessa sostanza (il nucleo ventromediale del mesencefalo proietta una memoria motoria di tipo associativo(3): l’animale apprende come procurarsi la sostanza che gli procura il piacere e si muove alla sua ricerca per ripetere l’esperienza edonistica.
Possiamo quindi dedurre che, se lo zucchero genera piacere cerebrale (dato che aumenta la disponibilità di dopamina), un possibile meccanismo che lega il soggetto che lo consuma alla sua ricerca ossessiva-compulsiva è proprio un meccanismo di dipendenza cocaino-simile(4), ma addirittura più potente – almeno nel modello animale(5/7). Se ipotizziamo che la stessa cosa avvenga nell’uomo, possiamo capire come sia proprio il consumo di cibi dolci nei giovani e negli adulti a causare una continua, compulsiva, richiesta di questi stessi cibi, con conseguente innesco di dipendenza(8).
Vi è inoltre da dire che nella maggior parte dei mammiferi, tra cui i ratti e l’uomo, i recettori per il gusto del dolce si sono sviluppati ed evoluti in un ambiente ancestrale che non prevedeva assunzione di zucchero. Essendo questi tuttora inadatti alle frequenti stimolazioni di gusto dolce, l’attuale esagerata introduzione di cibi e bevande zuccherate (dovuta alle pessime e diffuse abitudini alimentari) ne produce una stimolazione decisamente non naturale. Questa stimolazione provocherebbe una smisurata risposta cerebrale di tipo dopaminico, con uno sbilanciamento dei meccanismi di autocontrollo, che porterebbe alla dipendenza(4).
La differenza con l’animale da laboratorio è che, se l’animale non viene rifornito della sostanza, esso non la assume. Infatti, non esistono animali dipendenti dallo zucchero (ed obesi) in natura.

Nell’uomo, invece, la sostanza è continuamente disponibile e continuamente consumabile (e consumata) ed arriva ad essere causa di più o meno gravi problemi di salute, che con il tempo possono cronicizzarsi: iperinsulinemia, obesità ed infiammazioni croniche sono ormai tristemente note come conseguenza di quanto spiegato e, finché non si interverrà imponendo una limitazione nel consumo degli zuccheri, resteranno totalmente irrisolvibili dalla Medicina contemporanea.

Qual è la soluzione dunque?

Istruire le persone alla conoscenza di meccanismi biochimici complessi per condurli consapevolmente verso le giuste scelte alimentari non è affatto agevole. Dovrebbe essere compito di Politici e Medici. Quindi possiamo escludere che succeda mai. Ketozona ha perciò trovato una via d’uscita: utilizzare la conoscenza e l’esperienza del Dr. Caletti al servizio di chi la vuole sfruttare. Nascono così alimenti adatti a soddisfare da un lato il palato e dall’altro le necessità biochimiche del nostro sistema metabolico. Chi si avvicina a questa tipologia di prodotti trova gradevoli scelte funzionali che gli consentono di non subire danni da iperinsulinemia e da dipendenza di cibi dolci e infiammatori. Sebbene molti prodotti funzionali siano in grado di dare piacere (e chi non si sente gratificato da questo meccanismo alzi la mano), come i sostituiti chetogenici dei “dolci” tradizionali (cioccolate, brioches, biscotti ecc), difficilmente e per mille motivi, questi stessi alimenti potranno indurre dipendenza. Ma se anche la dipendenza fosse generata, l’effetto metabolico iperinsulinemico, infiammatorio e obesizzante non sarà mai possibile come con gli originali. Ecco dunque che potremo contemporaneamente godere del piacere nel consumo di prodotti da forno, dolci o salati che siano (biochimicamente gli originali che contengono farina e/o zuccheri solo la stessa cosa) ma senza subirne gli effetti deleteri tipici dei cibi originali. Godetevi dunque una Keto Pizza, una Brioche, una Cioccolata spalmabile e molto altro in santa pace e senza sensi di colpa o di affaticamento cerebrale o il rischio di diventare obesi e contemporaneamente, sembra assurdo, dipendenti di quegli stessi, dannosi cibi.

Riferimenti 

  1.  LENOIR M. – SERRE F. – CANTIN L. – AHMED S. H., Intense Sweetness Surpasses Cocaine Reward, in PLoS ONE 2(8): e698, 2007.
  2. DI CHIARA G. – IMPERATO A., Drugs abused by humans preferentially increase synaptic dopamine concentrations in the mesolimbic system of freely moving rats in Proc Natl Acad Sci USA 85: 5274–8, 1988.
  3. KELLEY A. E., Memory and addiction: shared neural circuitry and molecular mechanisms in Neuron, 30;44(1):161-79, 2004.
  4. COLANTUONI C. – RADA P. – MCCARTHY J. – PATTEN C. -  AVENA N.M. ET ALII, Evidence that intermittent, excessive sugar intake causes endogenous opioid dependence in Obes Res 10: 478–88, 2004.
  5. CARROLL M. E. – LAC S. T. – NYGAARD S. L., A concurrently available nondrug reinforcer prevents the acquisition or decreases the maintenance of cocaine-reinforced behavior in Psychopharmacology 97: 23–9, 1989.
  6. CARROLL M. E. – LAC S. T., Autoshaping i.v. cocaine self-administration in rats: effects of nondrug alternative reinforcers on acquisition in Psychopharmacology 110: 5–12, 1993.
  7. NUTT D. – KING L. A. – SAULSBURY W. – BLAKEMORE C., Development of a rational scale to assess the harm of drugs of potential misuse in Lancet 369: 1047–1053, 2007.
  8. PELCHAT M. L., Of human bondage: food craving, obsession, compulsion, and addiction in Physiol Behav.,76(3):347-52, 2002.

 

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